Le Scienze Comportamentali affermano che quando ricordiamo un’esperienza, la giudichiamo in base a due fattori: i picchi (momenti intensi dell’esperienza, positivi o negativi) ed il finale. 

La durata e la media complessiva dell’esperienza non sono, invece, contemplate dalla nostra modalità di ricordare.

E c’è un perché.

Il nostro cervello lavora in un’ottica di ottimizzazione e cerca sempre di risparmiare risorse: ricordare per filo e per segno tutte le esperienze che facciamo nella nostra vita sarebbe oltremodo dispendioso e, tutto sommato, inutile. 

Da un punto di vista evoluzionistico, ha senso tenere solo i ricordi che ci aiutano a sopravvivere: i più gioiosi, i più dolorosi (così da ricercare gli uni ed evitare gli altri) e il finale.  

Peak-end Rule ed esperienza di acquisto

Che cosa emerge se leggiamo questo bias cognitivo in un’ottica di esperienza di acquisto dei nostri clienti?

Emerge che, anche se la maggior parte della loro esperienza è stata buona o accettabile, ciò non ha alcuna influenza su quella che sarà la loro percezione futura dell’esperienza complessiva. 

Ricorderanno soltanto i picchi – se ce ne sono stati – e la conclusione. 

Va da sé che quello che dobbiamo fare, di conseguenza, è progettare un’esperienza utente che preveda dei momenti positivi di maggiore intensità e un lieto fine memorabile.

Consigli 

Nell’ambito dei Servizi alla persona, per esempio, dei picchi positivi possono essere l’empatia e la gentilezza da parte del personale nel corso di un esame o di un trattamento fastidioso. 

Un’altro modo per creare picchi positivi è la musica, oppure la stimolazione dell’olfatto con essenze profumate – ovviamente a tema con ciò che stiamo vendendo.

In generale, cerchiamo di  intensificare, valorizzare e rafforzare, all’interno del Customer Journey, i momenti più emozionanti come le sorprese, gli eventi inattesi, i premi, i codici sconto, i free sample ecc.

Il lieto fine

In ambito medico è stato sperimentalmente provato che in presenza di un trattamento doloroso o molto fastidioso, la diminuzione del livello di dolore durante la fase finale della procedura, anche se ciò dovesse implicare il suo allungarsi a livello temporale, fa percepire al paziente quell’esperienza come meno negativa o traumatica.

Parlando di attività retail, invece, il finale è, solitamente, connotato in modo negativo: nonostante il cliente abbia acquistato ciò che voleva,  l’avverisone alla perdita gli fa vivere il momento del pagamento come un avvenimento negativo, quasi doloroso. 

Parliamo infatti di “dolore del pagamento”: le neuroscienze dimostrano, grazie all’analisi tramite risonanza magnetica funzionale, che di fronte a un prezzo ritenuto elevato, il cervello genera una risposta equivalente a quella del dolore fisico.

Ciò non significa che sentiamo davvero male fisicamente ma che lo stimolo del pagamento attiva le stesse aree cerebrali che si attivano quando riceviamo un pizzicotto. 

Lenire il dolore del pagamento

Per bilanciare questa sensazione dobbiamo far sentire l’utente gratificato, coccolato e capito. 

Una buona strategia è quella di offrire un dono contestualmente al pagamento: uno sconto sul prossimo acquisto, un piccolo omaggio.

Questo gesto, oltre a lenire il dolore del pagamento grazie alla sorpresa inaspettata, attiva il Principio di reciprocità e quindi il cliente sarà più disposto a contraccambiare, tornando nel nostro negozio oppure consigliandolo ad amici e conoscenti. 

Anche semplici azioni di cortesia, come accompagnare il cliente all’uscita, aprirgli la porta e salutarlo sorridendo, gli faranno percepire che il vostro rapporto va oltre il semplice “vendere” e aiuteranno a rendere più piacevole il ricordo della sua esperienza.

 

Fonti

https://insidebe.com/articles/why-customers-arent-remembering-your-cx/ 

https://www.coglode.com/research/peak-end-rule 

https://www.boraso.com/blog/la-psicologia-e-il-potere-delle-esperienze-finali/ 

https://www.nirandfar.com/peak-end-rule/ 

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