Al giorno d’oggi, è sempre più facile e conveniente buttare ciò che è rotto o anche solo vecchio e rimpiazzarlo con qualcosa di nuovo.

Questo è dovuto a una serie di fattori, tra cui l’obsolescenza programmata, la facilità di accesso a nuovi prodotti e la mancanza di conoscenze e competenze per riparare gli oggetti e la minore facilità con cui questi possono venire aggiustati rispetto a tempo fa!

In passato era più comune riparare gli oggetti quando erano rotti o danneggiati. I motivi? Scarsità di risorse, la necessità di mantenere gli oggetti in buone condizioni, la difficoltà di sostituzione immediata dell’oggetto e l’importanza attribuita alla riparazione come forma di espressione creativa e di bravura.

L’arte del Kintsugi

Arte del passato ma ancora presente, in Giappone, esiste da millenni la tradizione di riparare gli oggetti in ceramica, come teiere, vasi e stoviglie rotti con una tecnica chiamata Kintsugi.

Questa tecnica consiste nel riempire le crepe con un metallo prezioso, che le esalti, come l’oro o l’argento: il nome, infatti, significa letteralmente oro -“kin”- e “tsugi” sta per riunire, riparare, ricongiungere.

Il risultato è un oggetto che vien sia riparato che impreziosito dalle nervature create dove era stato danneggiato.

Il Kintsugi è più di una semplice tecnica di riparazione, ha anche un importante signficato simbolico: è espressione di bellezza e resilienza.

Le crepe, le cicatrici, quindi, sono viste come segni della forza di andare avanti, senza vergognarsi delle ferite e del dolore, anzi: sono proprio le crepe, valorizzate dall’oro, a rendere l’oggetto ancora più unico e prezioso.

La cultura del Repair

Ovviamente, non sempre è possibile riparare con la tecnica del Kintsugi e non tutti gli oggetti sono semplici da riparare, anzi.

Spesso sono i produttori stessi a rendere molto complessa la riparazione degli oggetti, spingendo per l’acquisto del nuovo: il “costa meno ricomprarlo” è sulla bocca di tutti, specialmente quando si tratta di un elettrodomenstico o un apparecchio elettronico.

È sempre più complicato recuperare i pezzi di ricambio o aprire alcuni dispositivi oppure il costo della riparazione è sproporzionato rispetto all’acquisto del nuovo.

Negli ultimi anni, però, si sta assistendo ad un ritorno alla Cultura del Repair.

Questa controtendenza è dovuta a una serie di fattori, tra cui:

-la crescente consapevolezza dei problemi ambientali legati all’obsolescenza programmata, alla produzionne di nuovi beni e alla creazione di nuovi rifiuti.

-l’aumento dei costi di sostituzione degli oggetti.

-il ritorno del vintage, second hand e della pratica del baratto.

-la condivisione in rete di informazioni e tutorial su come riparare gli oggetti.

Repair Café e Restart Parties

I canali più attivi della Repair Culture sono i Restartes e i Repair Café.

Nel primo caso parliamo di una community online, nata in UK, che organizza raduni chiamati Restart Party, in cui chi ha le skills necessarie aggiusta qualsiasi tipo di dispositivo elettronico: dai televisori alle lavatrici, agli smartphone agli elettrodomestici. 

La Repair Café Fundation, invece, nasce dall’idea di una donna olandese stanca di dover cambiare di continuo il suo cellulare. Oggi il network conta più di 1500 punti per le riparazioni sparsi in tutto il mondo, Italia compresa, in cui è possibile portare i propri oggetti rotti per farli riparare da volontari esperti.

Vantaggi della riparazione

La cultura del repair presenta una serie di vantaggi, sia per l’ambiente che per le persone.

Riparare gli oggetti contribuisce a ridurre i rifiuti, a risparmiare risorse e a limitare la produzione di nuovi beni di consumo.

La Repair Culture, inoltre, può portare alla creazione di nuove opportunità di lavoro e di socialità.

Ovviamente, lo step precedente da compiere in un’ottica di Repair Culture è l’acquisto responsabile di beni durevoli, facili da riparare e di buona qualità.

 

Fonti

Tutto si aggiusta, anche gli italiani scoprono i vantaggi del riparare“, 2019, Non sprecare.

Metafora e tecnica del kintsugi: l’arte delle preziose cicatrici“, 2016, Lifegate.

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